Transiberiana: scorci e riflessioni

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Una storica locomotiva della Transiberiana

Mi ero illuso di potermi annoiare. Volevo annoiarmi.
Ho scelto questo viaggio anche per ritrovare quella dimensione ormai dimenticata, fatta di noia e ozio, che l’età adulta spesso non consente. Anche perchè la mia indole, mi porta a non restarmene con le mani in mano, ovunque io mi trova e qualsiasi sia la situazione.
E’ così che questa volta ho cercato una sorta di stop obbligato e mi sono detto: “bene, ora ti spedisco in Siberia in mezzo al nulla, chiuso dentro una scatola di metallo per 10mila chilometri. Vediamo come te la passi!”

Siamo circa a metà percorso quindi c’è ancora tempo per raggiungere il mio particolare obiettivo e sentirmi finalmente un nulla-facente, ma ho come l’impressione che giunto a destinazione rifarei immediatamente il tragitto in senso inverso, questa volta da Vladivostok a Mosca, perchè l’andata non è stata sufficiente (più probabile a questo punto che non lo sarebbe nemmeno un viaggio verso Marte).

Stanco di leggere e scrivere mi sono messo a guardare fuori dal finestrino e per un momento ho pensato “ecco, dai che ci siamo” sicuro che di lì a breve la noia mi avrebbe fatto visita. Anche perchè è raro trovare un panorama più ripetitivo e monotono di questo.
Tuttavia osservando le distese infinite di betulle che scorrono, con i loro colori autunnali e le mille sfumature gialle ed arancioni, ho avuto l’impressione di starmene di fronte a un fuoco acceso, fiamme che danzano lente e imperturbabili. E un fuoco non è mai monotono anzi, lo si potrebbe guardare per ore senza stufarsi, perchè in continua trasformazione e ipnotico.

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Foresta di betulle in Siberia

E’ strano qui come si possano percorrere decine, centinaia di chilometri senza scorgere alcun segno dell’essere umano. Non una casa, una costruzione, una strada né alcuna testimonianza del suo passaggio. Tutto ciò contribuisce ancor di più a sentirsi a bordo di un’astronave.
Questo treno non ha nemmeno un suo orario, perchè quello di bordo (come in tutte le stazioni russe), è settato su Mosca. E’ come essere in sospeso, in un limbo che si muove senza spazio né tempo.

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Alba sulla Transiberiana

Il treno che percorre la Transiberiana, diviene ad ogni partenza un microcosmo, con i suoi abitanti e le sue regole. E’ un treno spartano ma pratico e funzionale. Tutto è al suo posto e tutto funziona come deve funzionare. Non c’è nulla in più, il giusto necessario.
E per tutti questi motivi, chi né è ospite e passeggero, è un viaggiatore e non un turista. Piccola enorme differenza.
Personalmente mi sento un privilegiato a poter effettuare un viaggio simile, in una maniera ancora così genuina e non influenzata dalle mode e i flussi del turismo di massa (che secondo me prima o poi arriveranno).

Qui in seconda classe ogni carrozza ha nove scompartimenti, ognuno dei quali quattro cuccette. Alle due estremità del vagone due bagnetti, con tazza e lavandino. In alcuni treni c’è la presa di corrente in ogni scompartimento, ma nella maggior parte sono comuni, in corridoio. E su ogni treno, un unico ma efficiente vagone ristorante (il cui conto è una piccola opera d’arte – vedi foto sotto).

Ogni vagone è supervisionato dalla provodnitsa, cioè una sorte di hostess più severa del sergente Hartman di Full Metal Jacket. Si occupano di tutto, dal controllo biglietti/passaporti alla pulizia delle cabine, dalla vendita di snack e generi alimentari di prima necessità, alla distribuzione e al ritiro delle lenzuola. Indossano divise simil-militari e le più anziane hanno segni distintivi simili ai gradi. Nonostante la rigidità sono estremamente gentili e sempre disponibili per qualsiasi cosa. Non parlano inglese e apprezzano molto quando le si ringrazia nella loro lingua (Grazie=Spasibo).
In ogni carrozza inoltre c’è il samovar, ovvero un bollitore cilindrico alimentato a corrente elettrica che dispensa acqua calda per tè e zuppe solubili.

Poco fa abbiamo attraversato un piccolo villaggio in mezzo al nulla, dopo centinaia di chilometri di foreste. Fatico a comprendere come si possa passare un inverno siberiano in questa zona e in quelle casette di legno e lamiera, che sembrano così fragili e improvvisate.
Vicino alle stesse case, ho visto due bambini (un maschietto e una femminuccia) rincorrersi tra le lapidi di quello che pareva essere un cimitero, di poche, pochissime anime: inizialmente ho provato tenerezza e compassione, anche pena forse. Poi però vedendoli sorridere ho capito che la realtà è sempre soggettiva e dipende sempre da che punto di vista la si guardi. Così ho sorriso anch’io, apprezzando la strana e inusuale atmosfera di un luogo “dedicato alla morte”, che grazie a delle giovani vite, diventa gioioso e spensierato.

Dall’astronave per ora è tutto.  Do svidaniya! 

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